King Crimson

La deliberata dichiarazione da parte mia, nel 1969, che era possibile per il rock richiamarsi alla testa oltre che ai piedi causò una sorta d’esplosione passionale e fu considerata eretica“. La dichiarazione è di Robert Fripp – compositore, chitarrista, occasionale tastierista, mente pensante ed unico componente sopravvissuto alle molteplici reincarnazioni dei King Crimson – e rappresenta il manifesto dell’intero movimento progressive – manifesto che nei tardi anni Sessanta permise al rock di passare dall’adolescenza alla fase adulta e che determinò un cambio di prospettiva tanto ampio da trasformare il rock stesso da colonna sonora del ribellismo giovanile a forma d’arte vera e propria.

In The Court Of The Crimson King (1969)

Non è un caso che, nell’immaginario comune del pubblico rock, l’esordio dei King Crimson sia considerato il disco che inaugurò la grande stagione del progressive rock. In realtà In The Court Of The Crimson King non è il primo album prog della storia (ma quale disco potrebbe essere considerato tale?); tuttavia è evidente che la sua pubblicazione rappresentò un momento di passaggio da un’era musicale all’altra ed uno shock assoluto per il pubblico dell’epoca, a cominciare dalla stupefacente copertina col volto del mostro dall’espressione terrorizzata. Le sonorità dell’album erano davvero inaudite e, a distanza di quasi quarant’anni, hanno mantenuto inalterato tutto il loro fascino. 21st Century Schizoid Man – traccia con cui si apre questo disco memorabile – è il brano forse più celebre, caratterizzato da un riff che fa impallidire ancora oggi per la sua efficacia; la voce allucinata di Lake, gli assolo impazziti di chitarra e sax, il drumming nevrotico di Giles ed un finale caotico in pieno stile free rendono questa composizione assolutamente fenomenale. I Talk To The Wind sconvolge, viceversa, per la sua inaudita dolcezza, i temi di flauto, il drumming leggiadro e le voci angeliche. E’ incredibile come lo stesso gruppo abbia potuto rendere in musica stati d’animo contrapposti (la paranoia di 21st Century Schizoid Man e la pace di I Talk To The Wind) con tale efficacia! Epitaph stupisce per il fragoroso uso del Mellotron (mai precedentemente usato con tale efficacia da nessun altro gruppo) e per i raffinatissimi chitarrismi di Fripp. Le ultime due tracce si rivelano probabilmente le meno efficaci di un disco comunque monumentale; in particolare, Moonchild appare un pò datata a causa di un rumorismo – sia pur tenue – fine a sè stesso, mentre The Court Of The Crimson King, pur caratterizzata da una bellissima melodia dominata ancora dal Mellotron, risulta eccessivamente lunga rispetto alle poche variazioni melodiche proposte.
In seguito ad un esordio di tal fatta – forse il più grande esordio di tutti i tempi – i King Crimson si sfaldarono, inaugurando una infausta tradizione: nessuna formazione del Re Cremisi riuscirà a mantenersi inalterata per più di un album.

Voto: 9/10

Brani:
1. 21st Century Schizoid Man; 2. I Talk To The Wind; 3. Epitaph; 4. Moonchild; 5. The Court Of The Crimson King.

Formazione:
Robert Fripp: guitars; Michael Giles: backing vocals, drum, percussions; Greg Lake: bass, lead vocals; Ian McDonald: backing vocals, keyboards, winds; Peter Sinfield: words.

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In The Wake Of Poseidon (1970)

Orfani del grandissimo Ian McDonald, i King Crimson pubblicarono In The Wake Of Poseidon che tuttavia deluse i fan della band, rea di aver confezionato un prodotto eccessivamente somigliante allo sfavillante album d’esordio. In verità, tale giudizio dovrebbe essere oggi parzialmente rivisto; certo, Pictures Of A City non può non richiamare alla mente 21st Century Schizoid Man (non tanto nello sviluppo armonico, quanto nell’arrangiamento e nell’intenzione espressiva) mentre In The Wake Of Poseidon si rifà chiaramente alla melodrammatica espressività di Epitaph. Tali composizioni sono forse le più deboli dell’album o – se si preferisce – le meno innovative; tuttavia gli altri brani rendono comunque il disco imperdibile, sia pur meno riuscito dell’esordio: Cadence And Cascade (ingiustamente bollata come una copia di I Talk To The Wind) è cantata da uno straordinario Gordon Haskell ed è impreziosita da meravigliosi inserti pianistici ed un solo di flauto di inaudita bellezza; Peace – A Theme è un raffinatissimo bozzetto per sola chitarra acustica; Cat Food è un fantastico blues-free jazz-prog dominato dal piano folle di Keith Tippet; la suite conclusiva The Devil’s Triangle, chiaramente ispirata a Mars del compositore inglese Gustav Holst, spinge la band su territori vicini all’avanguardia pura. Tutto ciò basta per rivalutare un disco immeritatamente dimenticato con troppa leggerezza.

Voto: 7.5/10

Brani:
1. Peace – A Beginning; 2. Pictures Of A City; 3. Cadence And Cascade; 4. In The Wake Of Poseidon; 5. Peace – A Theme; 6. Cat Food; 7. The Devil’s Triangle; 8. Peace – An End.

Formazione:
Mel Collins: winds; Robert Fripp: guitars, keyboards; Michael Giles: drum, percussions; Peter Giles: bass; Gordon Haskell: lead vocals (Cadence And Cascade); Greg Lake: lead vocals; Peter Sinfield: words; Keith Tippett: keyboards.

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Lizard (1970)

L’instabilità del gruppo si accentua: se ne vanno i fratelli Giles e Lake, cosicchè Fripp chiama diversi session men della scena jazz che si affiancano a Tippet (già presente in In The Wake Of Poseidon).
Nonostante la precarietà della line-up, da questo momento i King Crimson pubblicheranno due capolavori assoluti. Il primo, Lizard, generalmente poco considerato anche dai fan più fedeli, contiene alcune delle più grandi composizioni della band a cominciare dalla meravigliosa Cirkus con cui si apre il disco. Un riff mozzafiato di Mellotron da il via ad un brano vibrante, romantico, decadente e visionario, arricchito da un solo di sax eccellente e dalle clamorose acrobazie di Fripp alla chitarra acustica; il finale – da antologia – è curiosamente simile alle sperimentazioni messe in atto dai Gentle Giant in quegli stessi mesi. Indoor Games, brano tra i più sottovalutati dell’intera produzione della band, è un folle e sballato blues guidato da una sezione fiati genialmente orchestrata ed interpretato da un grande Gordon Haskell; il jazz-prog di Happy Family – fredda e calcolata – rappresenta forse l’unico punto debole di un disco imperdibile; la meravigliosa Lady Of The Dancing Water è forse il più bel brano melodico dei King Crimson, dall’arrangiamento levigato e dominato da flauto e trombone; infine la suite Lizard, pur a volte un pò slegata, contiene un paio di sezioni assolutamente memorabili: Prince Rupert Awakes (cantata da Jon Anderson degli Yes) e soprattutto Bolero – The Peacock’s Tale, per la cui melodia, guidata dall’oboe, non esistono parole sufficienti a descriverne la bellezza. Cosa abbia spinto Fripp a definire Lizardil peggior album mai realizzato dai King Crimson” è un mistero. Disco da rivalutare totalmente.

Voto: 9/10

Brani:
1. Cirkus; 2. Indoor Games; 3. Happy Family; 4. Lady Of The Dancing Water; 5. Lizard.

Formazione:
Mel Collins: winds; Robert Fripp: guitars, keyboards; Gordon Haskell: bass, lead vocals; Andy McCulloch: drum, percussions; Peter Sinfield: words.

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Islands (1971)

Fripp, nonostante una formazione sempre più precaria (va via Gordon Haskell ed entra un certo Boz; esce il batterista Andy McCulloch, sostituito da Ian Wallace), pubblica Islands, disco di straordinaria bellezza.
Formentera Lady, al termine una introduzione stralunata condotta da viola, flauto e pianoforte, si apre attraverso una melodia acustica fantastica ed ipnotica, fatta di richiami orientaleggianti e jazz (!) in cui gli unici elementi ritmici sono dati dai colpi regolari di charleston ed un riff ipnotico di basso. Lentamente entrano la chitarra acustica, un sax inquieto ed indolente allo stesso tempo e la voce spettrale del soprano. Pezzo magnifico, irreale e sperimentale, eppure melodicissimo!
Seguono Sailor’s Tale, brano strumentale – un unico, pazzesco assolo di Fripp – e The Letters, contraddistinta da una splendida interpretazione di Boz; Ladies Of The Road suona nel ritornello come un omaggio devoto ai Beatles, eppure è brano attualissimo; chiudono Prelude: Song Of The Gulls, brano totalmente classico per soli archi ed oboe, ed Islands, forse il più bel brano mai composto dai King Crimson. Malinconico, lirico e toccante, presenta una melodia struggente, inserti pianistici di inaudita bellezza ed un finale epocale, con un assolo di Mark Charig da consegnare alla posterità.
Successivamente i King Crimson pubblicheranno ancora ottimi album a partire dal successivo Larks’ Tongues In Aspic, tuttavia lontani dal toccante lirismo di Islands.

Voto: 10/10

Brani:
1. Formentera Lady; 2. Sailor’s Tale; 3. The Letters; 4. Ladies Of The Road; 5. Prelude: Song Of The Gulls; 6. Islands.

Formazione:
Boz: bass, lead vocals; Mel Collins: backing vocals, winds; Robert Fripp: guitars, keyboards; Peter Sinfield: words; Ian Wallace: backing vocals, drum, percussions.

Ospiti:
Mark Charig, Robin Miller: winds; Paulina Lucas: soprano; Harry Miller: strings; Keith Tippet: keyboards.

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Larks’ Tongues In Aspic (1973)

Al termine del tour di Islands, Fripp scioglie i King Crimson per riformarli un anno dopo con una formazione completamente rinnovata e che risulterà molto più stabile delle precedenti. Il nuovo album chiude definitivamente col passato ed apre un nuovo capitolo della saga del Re Cremisi in quanto la musica proposta è ora molto più rock-oriented (in certi casi perfino hard) e, probabilmente, più convenzionale (anche se la title track è forse la traccia più sperimentale mai proposta dal gruppo). Fripp abbandona del tutto il suono acustico e si apre a suoni taglienti e geometrici, fatti spesso di scale vorticose.
Larks’ Tongues In Aspic Pt I è, come detto, forse la traccia più sperimentale della band: tredici minuti di duro impatto sonoro tra aspre dissonanze, riff violenti di chitarra, una sezione ritmica e percussiva tarantolata ed inserti di violino ora melodici, ora dodecafonici. Un magma sonoro certamente non semplice da approcciare ma di indubbio fascino; le successive Book Of Saturday ed Exiles, guidate da chitarra e violino, riappacificano la band con la melodia: in particolare, Exiles, dolce e struggente, rimane l’ultimo fragile richiamo ai King Crimson del passato. La seconda parte dell’album presenta Easy Money (brano non esaltante, sospeso tra rumorismo e riff duri di chitarra), The Talking Drum (che, sin dal titolo, si caratterizza per una marcata accentuazione ritmica) e Larks’ Tongues In Aspic Pt II che, nonostante il titolo, nulla ha a che vedere con il brano d’apertura: dura e geometrica, tecnica e calcolata, suggerisce l’inedita definizione di brano heavy metal progressive. Un gran brano, di grandissima attualità sonora.
In definitiva, Larks’ Tongues In Aspic è un disco ambiguo e contradditorio; intellettuale e fisico allo stesso tempo, sperimentale eppure diretto come nessun precedente album del gruppo, si rivela un’opera frammentaria, con notevoli picchi qualitativi ma anche alcune cadute di tono. Soprattutto, si ha la sensazione che la grande tecnica posseduta dalla band sottragga a volte spazio all’emozionalità della musica proposta; rappresenta, ad ogni modo, un passaggio importante nella storia del gruppo perché portatore di nuovi sviluppi musicali ed è un disco da avere ed ascoltare attentamente.

Voto: 8/10

Brani:
1. Larks’ Tongues In Aspic Pt I; 2. Book Of Saturdays; 3. Exiles; 4. Easy Money; 5. The Talking Drum; 6. Larks’ Tongues In Aspic Pt II.

Formazione:
Bill Bruford: drum, percussions; David Cross: keyboards, violin; Robert Fripp: guitars, keyboards; Jamie Muir: percussions; John Wetton: bass, lead vocals.

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Starless And Bible Black (1974)

La formazione resta sostanzialmente inalterata (va via soltanto Jamie Muir) e ciò giustifica la sostanziale continuità musicale di Starless And Bible Black rispetto al precedente Larks’ Tongues In Aspic. Pregi e difetti, anche in questo caso, si equivalgono. Se da un lato la band è ancora capace di produrre brani di grandissimo impatto emotivo (la bellissima The Night Watch, il buon strumentale Trio e Lament – dolente nella prima parte melodica, frenetica nella seconda sezione elettrica), dall’altro si concede una propensione all’improvvisazione ed al rumorismo che dal vivo possono risultare senz’altro affascinanti ma in studio appaiono piuttosto stucchevoli (We’ll Let You Know, The Mincer, la title track); The Great Deceiver è il brano di più immediato impatto sonoro mai realizzato dal gruppo, caratterizzata com’è da un riff di chitarra trascinante e da una prestazione collettiva eccellente; infine, lo splendido strumentale Fracture con cui si chiude l’album riprende il discorso musicale inaugurato con Larks’ Tongues In Aspic Pt II.

Voto: 7/10

Brani:
1. The Great Deceiver; 2. Lament; 3. We’ll Let You Know; 4. The Night Watch; 5. Trio; 6. The Mincer; 7. Starless And Bible Black; 8. Fracture.

Formazione:
Bill Bruford: drum, percussions; David Cross: keyboards, violin; Robert Fripp: guitars; John Wetton: bass, lead vocals.

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Red (1974)

Red è, a detta di molti, l’album del ritorno alle origini ed alle sonorità solenni e romantiche di In The Court Of The Crimson King. In realtà l’album, pur recuperando in parte la melodicità degli esordi, si mantiene vibrante, nervoso e monolitico quanto Larks’ Tongues In Aspic e Starless And Bible Black. Certo, il recupero in dosi massicce del Mellotron e dei fiati riconcilia il gruppo con i fan della prima era ma non per questo sono rinnegate le geometriche progressioni chitarristiche e la cieca sperimentazione dei due album precedenti. Red è, in definitiva, un vero testamento musicale, a memoria dei King Crimson che furono e che erano al momento dello scioglimento.
La title track iniziale prosegue nel solco delle fughe vorticose di Larks’ Tongues In Aspic Pt II e Fracture, confermando l’inedita (per l’epoca) definizione di prog-metal; Fallen Angel ammalia l’ascoltatore attraverso la dolcezza delle strofe (colorate dalla voce di Wetton, dall’oboe di Robin Miller e dalla chitarra acustica, assente dai tempi di Islands) ed inquieta con i riff drammatici dei ritornelli che si trascinano fino alla lunga coda strumentale; One More Red Nightmare si apre con un terrificante riff dark per poi svilupparsi – in una commistione incredibile – attraverso elementi funky; Providence è decisamente la traccia più sperimentale ed improvvisata dell’album, sulla scia di brani come Starless And Bible Black; chiude magistralmente l’album la stupenda Starless, capolavoro assoluto del disco e brano tra i più memorabili del movimento progressive. Un Mellotron spettrale introduce uno dei temi più dimessi e decadenti di Fripp che, nella seconda parte del pezzo, si produce in uno stupefacente assolo, costituito da una (sic!) nota in un crescendo vorticoso e raggelante. Nel finale, la ripresa del tema iniziale è condotta dal sax con una sezione ritmica sugli scudi.
Al momento della pubblicazione del disco, la band sarà già sciolta: si ricomporrà sette anni dopo in un contesto culturale e musicale ormai del tutto mutato.

Voto: 8/10

Brani:
1. Red; 2. Fallen Angel; 3. One More Red Nightmare; 4. Providence; 5. Starless.

Formazione:
Bill Bruford: drum, percussions; Robert Fripp: guitars, keyboards; John Wetton: bass, lead vocals.

Ospiti:
Mark Charig, Mel Collins, Ian McDonald, Robin Miller: winds; David Cross: violin.

Pubblicato on agosto 4, 2008 at 5:36 PM  Lascia un commento  

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